(Un estratto di questo post è pubblicato su ARTRIBUNE)
The inner outside (bivouacs) apre al Nuovo Spazio di Casso la stagione espositiva 2014-2015 di Dolomiti Contemporanee con una collettiva, a cura di Gianluca D’Incà Levis, che propone diversi piani di lettura del concetto di bivacco. Bivacco che non è contenitore ma propensione (mentale, ancor prima che fisica) alla permeabilità, è condizione minima necessaria all’idea di protezione.
Al tempo degli “scout”, usavamo erroneamente l’espressione “fare azimut” per giungere da un punto A ad un punto B attraverso il percorso più breve possibile. E, se la geometria ci insegna che la raffigurazione di questo percorso ottimale è la linea retta, compiere nel mondo reale questo percorso è quasi sempre improbabile.
Questo esercizio di attraversamento lo compivamo con costanza e tracotante determinazione in tenera età, “scoutini” su per le montagne, zaino in spalla, tirando dritti come dei muli coi paraocchi a tagliare di netto i tornanti. Spesso ci si arrampicava come si poteva, sorreggendosi ai rami delle piante che ci si paravano davanti, affondando le mani nude nella terra smossa, valicando massi puntuti con i nostri scarponi pesanti. E nel fermarci a passare la notte, in uno di questi “azimut”, si intentava un bivacco come si poteva. Niente radure, niente pianori, così ci si accontentava dello spazio del sentiero appena battuto, e con qualche paletto puntato a sghimbescio su terreno, una cerata o un poncho come copertura e qualche buon metro di cordino a fermare il tutto, ci si apprestava a passare la notte con un occhio aperto e uno chiuso, con le orecchie tese ad ascoltare i rumori del bosco, cercando di riposare seppure stesi su una superficie nemmeno lontanamente piana, nemmeno lontanamente comoda.
L’iconografia di un bivacco non è semplice da definire: i giacigli su cui riposavano le truppe che nell’antichità e durante il medioevo scorrazzavano per mezza Europa talvolta non prevedevano alcun tipo di copertura. Gli uomini giacevano sdraiati a terra, fianco a fianco, coperti dei soli vestiti aspettando che facesse chiaro per ripartire. Gli accampamenti più organizzati disponevano di tende, e assumevano le fattezze di piccole città ordinate. Ma che si sia in guerra o, più verosimilmente qui, in alta montagna a battere sentieri in quota, l’istinto a proteggersi porta a ricreare una nicchia entro la quale stare, un ambiente essenziale, la ricerca dell’idea di interno che differisca da un esterno che è “altro”, un luogo dove ritrovarsi, come si stesse nel grembo materno.
Se, nell’ambito economico, politico, sociale, in passato ci fu un periodo di estrema tensione alla crescita che portò la cosidetta “bolla” ad assumere dimensioni mai raggiunte prima, includendo nella sua parabola ascendente atteggiamenti speculativi, l’epoca che si è costretti ad attraversare vede lo scoppio della “bolla”, e la conseguente crisi, ad investire anche gli ambiti che, nel periodo di massimo sviluppo, sembravano inattaccabili, non ultimo quello del mercato dell’arte.
La crisi, però, porta con sé, nei casi migliori, i semi di nuove istanze dalle quali può forse giungere una rinascita.
INDEPENDENTS, progetto ideato da Fuoribiennale per ArtVerona giunto quest’anno alla quinta edizione, propone di “ripartire dal basso, dalla sperimentazione, dalle tensioni giovani e artistiche” presentando, pertanto, nell’ambito della fiera d’arte veronese, progetti legati a realtà autonome, idipendenti, innovative, che contribuiscano a attivare riflessioni e possibili soluzioni che sopperiscano al “post boom”.
INDEPENDENTS nasce con l’intento di dare spazio e visibilità alle realtà artistiche e sperimentali, che si muovono in maniera autonoma ed emancipata rispetto al sistema istituzionale e che sono spesso catalizzatrici di nuove tendenze.
Sul tema de “la Bolla” si confronteranno 25 realtà indipendenti e creative provenienti da tutta Italia, con altrettanti progetti. Ecco l’elenco dei selezionati per l’edizione 2014 (9-13 ottobre prossimi):
AAC / Platform, ADD ART, AplusA, ART COMPANY, ART. LAB GALLERY, BI-BOX ART SPACE, DOLOMITI CONTEMPORANEE, FAGARAZZI E ZUFFELLATO, FUORIBIENNALE, INTERZONA, LA SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO, MY HOME GALLERY, NOVELLA GUERRA: C.R.A.C., OLIVARES CUT, PADANIA CLASSIC, PRINT ABOUT ME, RAMDOM, RE.TE ASSOCIAZIONE, REVERSE LAB, SGUARDO CONTEMPORANEO, SITE SPECIFIC, SPAZIO MEME, SPONGE ARTE CONTEMPORANEA, START WITH ART, THE FORMAT, TRA Treviso Ricerca Arte, UTILITA’ MANIFESTA, ZONE.
OLIVARES CUT sarà presente a INDEPENDENTS con il progetto “TULPENMANIE. Dibattiti attorno al valore dell’arte“. Una serie di talk che coinvolgeranno differenti professionalità del mondo dell’arte, scambiando riflessioni e punti di vista sul tema in oggetto.
Manca poco meno di una settimana alla chiusura di una delle più belle mostre esposte a Vicenza negli ultimi mesi e pertanto vi dedico la mia Top Five, le mie cinque fotografie preferite tra le molte esposte. Forse non saranno le più belle, forse ne avrei potute scegliere altre. Ma si sà, le Top Five sono così: ne devi scegliere solo cinque. Come faceva il protagonista di Alta Fedeltà di Nick Hornby. Ve lo ricordate?
E stavolta ho scelto queste.
Magnum Contact Sheets. In mostra, per riassumere brevemente, foto più o meno famose con a fianco i corrispondenti (semisconosciuti ai più) provini a contatto, foto 1:1 che mostrano un primo sviluppo dei negativi compiuti dal fotografo, dai quali si fa la selezione delle immagini da tenere: per un servizio, una pubblicazione, una mostra… I fotografi scelti sono pezzi da novanta, tra le fila dell’agenzia Magnum, una delle più importanti al mondo, nata nel 1947 in forma di cooperativa spontanea per tutelare i diritti e il lavoro dei fotografi stessi. Scatti dal 1936 al 2010, un excursus storico documentaristico di respiro internazionale.
E ora, via con la Top Five.
Quinto posto: DALÍ ATOMICO di Philippe Halsman
Fotografo di origine lettone, prima di finire in Francia a lavorare per Vogue Halsman aveva studiato a Dresda ingegneria elettrica e si era fatto qualche buon anno di carcere con accusa di omicidio (pare infondata) per la morte del padre. Dagli anni Cinquanta cominciò a produrre ritratti inconsueti, di persone famose, alle quali chiedeva di saltare mentre scattava. La serie di immagini che ne uscì, e si compose in qualche decennio, era intitolata Jump – e Jumpology la “teoria” che in seguito venne costruita sul suo lavoro: disinibire le pose che la vita ci insegna a mantenere per non lasciar trasparire dall’espressione del viso le emozioni. Un salto non ti permette di mentire: e così gli scatti riuscivano a mettere a nudo le ambizioni, le timidezze, forse il vero carattere dei soggetti ritratti.
Ma il salto di Dalì, il pazzo surrealista, uno che era abituato a fare ben altri salti (come ad esempio lanciarsi dalle scale o dalle finestre “per vedere l’effetto che fa”), nello scatto di Halsman mostra qualcosa di meno scontato: più che la Jumpology del fotografo mette in scena (in un altrettanto surreale teatrino fatto di 6 ore di tentativi, 28 lanci di gatti e altrettante secchiate d’acqua, sangue e sudore di quattro assistenti, di Yvonne la moglie di Halsman, del fotografo e di Dalì stesso) la direzione verso la quale la pittura stessa di Dalì si stava dirigendo. La doppia esplosione atomica del 1945 aveva colpito Dalì al punto tale da fargli virare drasticamente il suo modo di fare arte, avviando una reinterpretazione dei legami tra le cose del mondo secondo i principi che uniscono (o scindono) tra loro gli atomi. Infatti, il dipinto che a malapena si vede a destra della foto è il “manifesto pittorico” della poetica daliniana che si può sintetizzare in “mistica atomica”, Leda Atomica: un approccio fisico e scientifico allo scibile, filtrato da un’introspezione in bilico tra il religioso e il superstizioso, con un recupero palese dei dettami rinascimentali nelle forme e nelle strutture compositive.
Ecco, ora vedeteci molto più di un’incredibile acrobazia. (P.s. è pellicola. Non esisteva photoshop. Scordatevi la postproduzione.).
Quarto posto: INVASIONE DI PRAGA di Josef Koudelka
Quel polso che si sporge, in primo piano, sulla strada di una Praga deserta, non so dirlo se fosse quello di Josef Koudelka, l’ingegnere aeronautico che decise di rendere testimonianza a ciò che stava avvenendo nella sua terra attraverso un mastodontico reportage dell’invasione di Praga. L’orologio riporta l’attenzione al tempo, congelato per sempre nell’immagine fotografica, di un giorno da dimenticare nell’attesa che i carriarmati russi entrassero a distruggere il vento fresco di liberalizzazione che la Primavera aveva portato nella capitale cecoslovacca, in contrasto con le restrizioni dettate dall’impero sovietico.
Koudelka in pochi giorni, nell’agosto del ’68, scattò all’impazzata un numero impressionante di fotografie. Usò pellicola da cinema, anzichè quella fotografica, perchè costava di meno. A Koudelka, che al tempo non era un fotografo di professione ma divenne un esempio per i fotoreporter venuti dopo di lui, questo gigantesco lavoro di documentazione costò l’esilio forzato dalla sua terra per oltre vent’anni, l’abbandono dei propri genitori che lo videro una sola volta dopo la sua dipartita, e una fama che gli venne giustamente attribuita, seppure a posteriori, da parte di Magnum. L’agenzia si mise sulle sue tracce finchè riuscì a scovare l’identità del “fotografo praghese”, che così aveva firmato i numerosi scatti giunti fortunosamente sulle scrivanie dell’allora presidente Elliot Erwitt. Dopo Quarant’anni venne pubblicato un libro che raccoglie tutti gli scatti più importanti realizzati in quell’occasione, che commuove Koudelka ancora oggi, mentre lo sfoglia.
Terzo posto: 11 SETTEMBRE 2001 di Thomas Hoepker
Quando il primo aereo andò ad infilarsi dritto come un fuso dentro ad una delle due Torri Gemelle nel cuore di una radiosa New York, Hoepker si trovava nel versante cittadino opposto al Word Trade Center. Lo chiamarono da Magnum: doveva muoversi, per andare a raccogliere testimonianza di ciò che stava avvenendo. Hoepker si precipitò per le strade di Manhattan in auto, tentando di avvicinarsi – invano – il più possibile alla zona che in seguito fu ribattezzata “Ground Zero”, ormai presidiata dalla polizia. Costeggiando l’East River, continuando a tenere d’occhio il fumo all’orizzonte che si alzava alto sopra le sagome dei grattaceli, si fermò a una piazzola di sosta, a scattare, dal finestrino dell’auto, il cielo azzurro di quella luminosa mattina di settembre coperto da una spaventosa nube grigia.
Il giorno dopo, negli studi di Magnum, le diapositive di Hoepker parevano ben poca cosa di fronte a quelle dei colleghi che si trovavano al momento della tragedia proprio sotto le Torri. Ma a distanza di alcuni anni i suoi scatti vennero ripresi e rivalutati, e questo sotto, in particolare, divenne una delle foto più conosciute e discusse di Hoepker. Perchè qui le Torri sono “relegate” al background, ma in primo piano non ci sono solo dei giovani seduti a chiacchierare. C’è l’emblema di un’America bella e invincibile, che niente doveva temere, colta nell’attimo prima di prendere consapevolezza dell’accaduto, quando capisce di trovarsi di fronte alla fine di un’epoca che nessun capitalismo potrà più riconsegnarle.
Secondo posto: CARNIVAL STRIPPER di Susan Meiselas
Susan trascorse le sue estati tra il ’72 e il ’75 girando mezza America con l’idea di scattare fotografie alle ragazze che, per sbarcare il lunario, si spogliavano negli spettacolini che popolavano le piccole città del New England, Pennsylvania, Sud Carolina. Meiselas non fotografò solo le “ballerine”, ma anche i gestori di questi improbabili carrozzoni, i clienti paganti e i fidanzati delle ragazze, facendone uscire un quadro decadente, un po’ kitsch ai nostri occhi, ma anche con un suo fascino, allegro a tratti.
La fotografa sviluppava i negativi ogni settimana, ma accadeva a volte che, quando tornava a bussare alle porte dei camerini della carovana per regalare alle ragazze alcuni loro ritratti, non le aprisse nessuno, perchè da un giorno all’altro queste avevano la buona abitudine di scappare con qualche “fidanzato”, chissà forse inseguendo il sogno americano, forse solo un futuro diverso.
La foto che preferisco è questa sotto. Non è stata scattata durante uno degli spettacoli, ma nell’intimità del camerino, quando le ragazze si preparavano allo specchio, o si riposavano tra uno spogliarello e l’altro fumando e chiacchierando, dimenticandosi che Susan era lì con loro e scattava con la sua Leica portatile, ritraendo i loro corpi svestiti quanto le loro espressioni stanche.
Primo posto: SABINE di Jacob Aue Sobol
La ragazzina paffuta delle foto è Sabine, la fidanzata di Sobol. Di origini danesi, Sobol andò in Groelandia nel 1999, per fotografare il villaggio sperduto di Tiniteqilaaq. Doveva rimanerci solo per qualche settimana, invece durante quel soggiorno conobbe Sabine, e si innamorò di lei. Tornò in Groenlandia alcuni mesi più tardi, e ci restò per i due anni successivi, diventando cacciatore e pescatore. In quel periodo la macchina fotografica la usò soprattutto per ritrarre la sua amata, che fa le facce strane di fronte all’obiettivo, che si passa sul corpo nudo una pezzuola di pelle di foca, che accende delle candele sopra il davanzale della finestra per sciogliere il ghiaccio all’interno dei vetri. Mentre disegna un cuore con le due mani davanti al suo volto.
Mi provoca una fitta tutte le volte che la guardo. I due si lasciarono, alla fine. E le foto scattate nella scarna camera da letto sepolta tra i ghiacci artici, sui materassi di gommapiuma a fianco dei fucili per ammazzare le foche, odorosi del merluzzo bollito che la madre di Sabine preparava ai due per colazione, divennero la “memoria del cuore”, come disse Sobol in un’intervista fattagli ad Arles alcuni anni più tardi, durante il Festival della Fotografia.
Un libro pubblicato nel 2004, e intitolato semplicemente “Sabine”, racchiude la loro storia d’amore in bianco e nero, adagiata nel racconto più ampio della complessa e semisconosciuta cultura groenlandese.
Ecco.
MAGNUM CONTACT SHEETS. Gallerie di palazzo Leoni Montanari. Contrà Santa Corona 25, Vicenza.
La mostra è aperta fino a domenica 11 maggio, dalle 10 alle 18.
Non capitate a Palazzo Leoni Montanari dopo le 17.30 però. Perchè non vi faranno entrare neanche se canterete in turco.
Scoprire cosa si cela all’interno di uno studio d’artista non è sempre così semplice. Spesso questi sono luoghi suscettibili del “senso dell’ordine” di chi ci crea all’interno, inavvicinabili dai “non addetti ai lavori”, frequentati dai suoi avventori ad orari improbabili, semisconosciuti…
Olivares cut assieme a The Soul in The Mirror (alter ego della blogger Teresa Francesca Giffone) provano a trasmettere la loro curiosità alla città di Vicenza. Abbiamo rivolto a diversi artisti l’invito a partecipare alla “puntata zero” di OPEN STUDIO, e al pubblico vicentino di avventurarsi tra opere d’arte e artisti disposti a far conoscere il proprio lavoro.
OPEN STUDIO zero.
Dalle ore 16 alle 20 gli spazi sono aperti al pubblico a ingresso libero.
Durante tutto il pomeriggio si susseguiranno alcuni eventi. Questo il programma completo:
SARTORIA LARA COSSÈR – Contrà San Marco 39
Lara Giuriati presenta una capsule collection di abiti studiati su alcune campionature di Mirella Spinella. Enrico Larese Filon curerà la selezione musicale.
Manuel Pablo Pace espone alcuni lavori della sua più recente produzione artistica.
SPAZIO 6 – Contrà San Pietro 6
Lo spazio, sorto nelle stanze dello storico studio fotografico di Attilio Pavin, propone dalle 10.30 alle 16.30 una MARATONA FOTOGRAFICA alla quale ci si può iscrivere in loco.
18.30 Inaugurazione della mostra fotografica GENIUS LOCI di Marco Fogarolo.
DER RUF – Contrà Porta Padova 89
Nello studio dall’atmosfera berlinese Patrizia Peruffo esporrà i suoi taccuini di design, mentre Giusto Pilan presenterà la sua ultima produzione pittorica e di incisioni.
17.30 Mirko Cremasco presenta “VIAGGIO”, performance con voce narrante e istallazione.
INCIPIT – Strada Ponti di Debba 5
Questo splendido open space di retaggio industriale ospita gli studi di Andrea Garzotto, Bruno Lucca, Daniele Monarca e Valentina Rosset.
Per l’occasione il Collettivo Jennifer rosa (esule per un giorno dallo spazio VOLL) presenterà in anteprima la proiezione della videoinstallazione “GEMELLI” (in loop per tutto il corso della giornata).
19.30 “IL CERCHIO E IL LUPO”, spettacolo teatrale di Davide Dal Pra
PER INFO scrivere a petra.cason@gmail.com / tfgiffone84@gmail.com
Da “The Soul in The Mirror”
APPROFONDIMENTI SUGLI SPAZI
APPROFONDIMENTI SUGLI ARTISTI
MAPPA DEGLI SPAZI
https://mapsengine.google.com/map/viewer?mid=zvLWjzpCoMtE.kgVhFgBZs-nM
Eugène, detto Jeff, era rientrato tardi, la sera prima. Aveva atteso che gli animi in piazza si calmassero, dopo l’ennesimo giorno di sommosse e scontri. Come negli ultimi tre mesi, anche quella notte non riuscì a dormire granchè, il frastuono fuori era infernale e non prometteva nulla di buono. Il popolo, che aveva alzato lungo tutta la piazza enormi barricate costruite alla bell’e meglio, con bancali presi dai mercati e assi di legno recuperate come poteva, si era insediato quasi stabilmente, prima occupando il municipio e, una volta abbandonato quello, dando vita ad una sorta di enorme accampamento variopinto sul selciato.
Nelle ultime ore di quel giorno il numero di uomini e donne in piazza era aumentato esponenzialmente, quando si muoveva pareva si scuotesse un’onda anomala. Lo si vedeva bene dal tetto del palazzo principale della piazza, nonostante i fuochi accesi qua e là impedissero talvolta una visione chiara di ciò che stava succedendo. Il fumo denso che scaturiva dagli incendi era un mezzo rudimentale ma efficace, usato dai manifestanti per impedire ai gendarmi di avvicinarsi a loro e arrestarli. La violenza era giunta al limite: si sparava per strada, il numero di morti era cresciuto nell’ultima settimana. A nessuno venivano risparmiati i colpi, né lame di baionette nello stomaco, né manganellate in faccia. Ripristinare l’ordine, ormai era diventata una priorità. Ma a che prezzo?
La lotta dell’intera cittadinanza contro la politica filoconservatrice del capo di governo era giunta al limite. Ormai non si poteva più tornare indietro.
Questa l’opera che egli fece, ritraendo gli avvenimenti di quei giorni drammatici.