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Sabato a TULPENMANIE. Il valore dell’arte nella Giornata del Contemporaneo.

Buona Giornata del Contemporaneo!
Sono in fibrillazione, nell’attesa di questo terzo e ultimo dibattito nel corner TULPENMANIE di Olivares cut: la giornata di oggi vede la presenza molti graditissimi ospiti, per un dibattito che, già prevedo, sarà vivace e molto molto interessante! Ma prima di raccontarvi chi sono i protagonisti di questo pomeriggio, faccio un breve passo indietro, all’incontro di ieri.
Venerdì 10 ottobre, dibattito tutto al femminile, con Adriana Polveroni, che, nonostante fosse molto impegnata nell’organizzazione dei talk ufficiali di ArtVerona, ci ha dedicato del tempo per parlarci dell’andamento dell’arte contemporanea di questi ultimi cinque anni. Dal suo quadro sono emerse essere le gallerie le principali responsabili della mancata valorizzazione dell’arte italiana, troppo poco considerata, quasi non fosse all’altezza di essere rappresentata. Tuttavia Adriana sostiene che a “nostro” favore abbiamo ancora una qualità molto alta. L’arte italiana avrebbe, se solo lo si volesse, le carte in regola per tener testa al mercato internazionale (e non manca di ricordare che a Sotheby’s c’è l’Italian Sale, non in French o il German Sale…e questo vorrà pur dire qualcosa). Qualcosa da raccontare, evidentemente, lo hanno anche gli artisti venuti dopo la parentesi d’oro dell’Arte Povera!
Aurora Di Mauro ha portato l’esperienza della Settima Onda (appartamento relazionale) come prezioso esempio di un curare e fare arte al di fuori delle logiche di mercato, avvicinandosi con il suo operato, in un certo qual modo, alla modalità che Pierluigi Sacco intravedeva come l’unica auspicabile alternativa per uscire dalla crisi (di valori): una rivoluzione che ambisce a superare la famosa “fase giovanile” del modello capitalistico”, che scalza la proprietà e il desiderio di possesso, fondando una nuova forma di passione, quella per la relazione mediata dal dono.
Valentina Bernabei invece ha portato la conversazione verso il rapporto tra arte e industrie, parlando del progetto di “Sogni nei cassetti” (progetto di ricerca che si inserisce nella piattaforma del MACLab, Ca’ Foscari), ossia di come l’università diventi osservatorio delle dinamiche operative industriali per scoprire in che modo l’arte è coinvolta all’interno dei processi di produzione. Venti aziende venete verranno “analizzate” ciascuna da un team composto da un comunicatore (com’è Valentina, giornalista di formazione), un videomaker e un business analyst a comporre un quadro il cui risultato verrà pubblicato a partire dal 2015.

Ma passiamo a parlare del numeroso gruppo di ospiti di oggi SABATO 11 OTTOBRE, e degli argomenti, tantissimi, che andremo a trattare: con Anna Quinz (Managing Editor e Creative Director di Franzmagazine) e Giulia Galvan (dance dramaturge and curator) discuteremo della cultura come “fatto sociale”, per capire se questa è in grado di migliorare la qualità della vita agendo sul luogo in cui si vive da protagonisti e non da spettatori, entrambe coinvolte in progetti che coinvolgono il territorio attraverso l’uso dell’arte come mezzo e non come fine.
Con Mirko Baricchi (artista) discuteremo sul ruolo dell’artista: chi detta le regole del gioco, nella carriera di un artista? Quanto vale l’autopr
omozione (artista manager di se stesso)? Quanto l’operato del curatore? Per quest’ultima domanda coinvolgerò Silvia Petronici (curatrice) reduce dal suo ultimo “Sense of community”, progetto che mira a rendere artisti e curatori consapevoli della progettazione site specific. Con Virginia Sommadossi (Project developer e presidente di Fies Core) andremo invece a parlare della necessità della ricerca e della sperimentazione in ambito artistico per lo sviluppo delle arti, e della contrapposizione in tale ambito dei ruoli di pubblico e privato, così come del riposizionamento della cultura all’interno della catena del valore.

Spero di vedervi numerosi, all’appuntamento di oggi che vi ricordo essere l’ultimo per Olivares cut alla quinta edizione di INDEPENDENTS per ArtVerona: dalle ore 16, al PADIGLIONE 11 (al centro, sulla sinistra).

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VISIONI DI OSCILLA

Nel 2010 mi sono laureata con una tesi specialistica sull‘interaction design per l’arte interattiva, specificatamente il mio interesse era nei confronti di quell’arte (ora digitale) che per far evolvere completamente un lavoro artistico ha bisogno dell’intervento di un individuo “altro” rispetto all’artista, ossia necessita dell’intervento diretto del pubblico.
La tesi si intitolava “L’arte appesa a un filo”. Al tempo avevo messo a confronto diversi casi studio, le prime opere interattive di Myron Krueger, artista degli anni Settanta, fondamentale per l’interazione corporea applicata al video, e gli ambienti interattivi di Studio Azzurro, gruppo artistico italiano che ha saputo portare avanti un linguaggio innovativo affiancato dalle più moderne (allora) tecnologie. Questo per introdurre e analizzare l’operato di un gruppo artistico neonato, Sacrocuoreconnection il quale, pur avendo grandi potenzialità, dopo l’exploit del 2010 è entrato in stand-by nel quale rimane da diverso tempo.

Tuttavia l’opera di ricerca nei confronti del digitale, dell’interattività e di nuove modalità di connettere l’arte alla musica e alle nuove tecnologie viene portata avanti su più fronti, anche dalle nostre parti. E questo è ciò che sta facendo Andrea Santini, in questi giorni ospite del mastodontico Earzoom Sonic Art Festival di Ljubljana, esponendo in occasione di diversi festival e rassegne la sua opera OSCILLA.
Durante il suo soggiorno a Tokyo, le scorse settimane, in occasione del Tokyo Experimental Festival 2013, gli ho posto alcune domande, in merito al suo lavoro e alla genesi di Oscilla. Ecco qui come mi ha risposto.

cut: Da dove partono le tue ricerche in merito all’applicazione della musica in campo artistico?
Andrea: La mia esperienza come ‘musicista’ perlopiù autodidatta mi ha fin da subito portato ad interessarmi ad approcci e processi, spesso ‘inconsueti’ o ‘sperimentali’.

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