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MIND YOUR STEP. Unusual promenade

Qual è il valore dell’arte?

Contestualmente al periodo che precede la mia presenza ad Independents5/ ArtVerona, ho scelto di chiedere a differenti figure che gravitano nel mondo dell’arte qual è il loro punto di vista sull’argomento cardine che tratterò ad ottobre con Tulpenmanie.
Al di là del fattore economico, del valore di mercato delle singole opere, l’arte possiede in sé il valore intrinseco di modificare gli ambiti con i quali entra in contatto. Ho chiesto qual è il suo parere a Giulia Galvan, drammaturga/curatrice/traduttrice, la quale, in un’azione che non si discosta poi troppo dal concetto di “gentrificazione”, DOMENICA 24 AGOSTO mette “in strada” il progetto MIND YOUR STEP,  certa che l’arte possieda il “valore aggiunto” in grado di migliorare lo stato delle cose, e in questo caso attivare, grazie all’arte, un processo di riappropriazione degli spazi urbani inattivi (abbandonati, degradati e conseguentemente pericolosi) modificando la memoria collettiva dei luoghi stessi “semplicemente” attraversandoli, passo dopo passo, In questo caso a passi di danza.

Dopo l’esperienza condotta a Vicenza con la rassegna Entrata d’emergenza come direttore artistico per la sezione danza, Giulia Galvan presenta (nell’ambito di OperaEstate Bassano, per la sezione Danza di B.Motion) MIND YOUR STEP, progetto scelto dal Centro per la Scena Contemporanea Garage Nardini e che si inserisce nel programma Léim finanziato dall’Unione Europea e dedicato alla formazione di manager culturali.

“I movimenti creano centri”. MIND YOUR STEP si sviluppa come una vera e propria “ricognizione urbana”: il pubblico, guidato da Giulia, percorrerà un’area della città di Bassano attraverso un itinerario non consueto, e i tre luoghi di sosta, che ospiteranno le azioni performative, non si conosceranno fino alla fine, contribuendo a sviluppare negli spettatori una rinnovata percezione di spazi conosciuti e lo stupore di fronte a luoghi inaspettati.
L’azione determinata dal movimento della danza amplifica la percezione di uno spazio. E, se nei danzatori e coreografi la consapevolezza del proprio corpo e del luogo che vanno ad occupare con le loro azioni è maggiore, questo non significa che non possa avvenire anche in un pubblico coinvolto: l’interazione spontanea del pubblico è una delle prerogative di MIND THE STEP, pubblico che sarà gradualmente guidato dai performer a prendere parte alle azioni affinchè queste avvengano in modo del tutto naturale e soggettivo.

A compendio del percorso di “percezione urbana”, ritmato dalle performance di Tommaso Monza e Claudia Rossi Valli, Chiara Frigo e Silvia Gribaudi, nella mattina di domenica si terrà una tavola rotonda presso il Bassano Urban Center sul tema attorno al quale gravita MIND YOUR STEP: il rapporto tra cultura, società e paesaggio urbano. In che modo la coreografia e l’urbanistica possono dialogare tra loro, qual è l’utilità dei paesaggi camminabili, il coinvolgimento delle comunità locali nel processo decisionale e il modo in cui l’arte può avere un impatto sullo sviluppo urbanistico. Interverranno Matteo Corsi, ricercatore di Kallipolis, l’attivista e operatore culturale Teodor Celakoski di Pravo na grad, il giornalista Giulio Todescan di Laboratorio Ferrovieri e la coreografa e architetto Tiziana Bolfe Briaschi.

La sessione pomeridiana di MIND YOUR STEP sarà aperta da Mary’s bath, nuova produzione site specific ad opera di Tommaso Monza e Claudia Rossi Valli. Danza intima che si lascia appena spiare dal pubblico, ad accompagnare la scoperta di Mary della propria sensuale purezza, nel lento e riflessivo rituale dell’abluzione che precede la promessa matrimoniale.

  • MARY'S BATH Tommaso Monza e Claudia Rossi Valli
  • BALLROOM Chiara Frigo
  • A CORPO LIBERO Silvia Gribaudi

Ballroom, ideata da Chiara Frigo, è l’azione centrale di MIND THE STEP. Racconto a Giulia la mia passione per le balere vecchio stampo, le milonghe argentine e le sale da ballo scozzesi e le chiedo di spiegarmi, nel dettaglio, quale sarà l’azione.
Quello che si propone di ricreare Ballroom è l’atmosfera, le sensazioni di una sala da ballo. La cosa importante è trasformare, nella percezione e nella memoria (condivisa) degli spettatori, le vie che attraversano e i luoghi in cui entrano, e Ballroom ti porta proprio da un’altra parte: è molto educativo capire come l’arte può creare trasformazione, stravolgimento, e nel caso di Chiara (Frigo), intimità precoce che detto così sembra hardcore ma intendo dire che si crea un’atmosfera di intimità fra le persone in un modo che io stessa non avrei pensato, quando ho partecipato come pubblico allo spettacolo a Maastricht. Perchè non si è solo pubblico, in realtà…

Sono pronte le sedie, disposte in quadrato lungo il perimetro di una sala che non si conosce. I danzatori teenager della rete no limit-action coinvolgeranno il pubblico, che non saprà cosa aspettarsi e verrà coinvolto nell’azione. Giulia racconta che ciò avviene in un modo che perfino lei, così restia al contatto con sconosciuti, ha trovato molto gradevole, quasi familiare. Le dico che penso di capire piuttosto bene, perchè in milonga (le sale dove si balla il tango) funziona così, che nel brevissimo arco di tempo dell’interazione con l’altro (non conosciuto) che ti invita a ballare si raggiunge un’intimità che non ha paragone in altro ambito, nella vita quotidiana, nelle relazioni normali.
C’è una differenza sostanziale tra la discoteca e la balera, e solo se si è frequentato l’una e l’altra la si può comprendere. Nella prima si balla come non ci fosse un domani, il ritmo è una faccenda opzionale. E’ un’azione corale, ma che sostanzialmente si compie individualmente. Si balla da soli. Nella seconda, invece, non si muove un passo se non si è in due. La balera prevede un’interazione molto maggiore, ballare in un abbraccio richiede un coinvolgimento indubbiamente più elevato, complesso del muoversi (a ritmo) da soli. Che si sappiano o meno i passi di danza, in Ballroom, è una questione irrilevante. Quello che importa è la percezione dell’altro, e dello spazio che si attraversa, con i modi e i tempi contratti di un ballo.

A conclusione del percorso guidato Silvia Gribaudi ripropone A corpo libero, sua storica performance che affronta un argomento di grande attualità qual è la condizione femminile “attraverso la fluidità gioiosa del corpo”.

MIND YOUR STEP – DOMENICA 24 AGOSTO,
Bassano Urban Center, via Porto di Brenta
Morning session dalle 10 alle 13
Afternoon session dalle 15.30 alle 18

remindyourstep@gmail.com

 

 

 

 

 

 

 

 

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Dolomiti Contemporanee 2014. Una doppia chiamata alle armi

In quale modo ci si può svincolare da una visione preconcetta e talmente radicata da sembrare l’unica possibile? Solamente cambiando prospettiva, allargando lo sguardo. Portando la visione su un livello differente rispetto al punto di partenza, che scardini l’attaccamento al passato e permetta di “volgersi responsabilmente al futuro”.*

Dolomiti Contemporanee, (di cui ho scritto in passato qui) apre, con la conferenza stampa di ieri, una nuova stagione di cantiere culturale, e tenta, stavolta, la difficile impresa di distruggere, attraverso l’arte, lo stereotipo che attanaglia da decenni la valle del Vajont (all’interno della quale DC ha deciso di stanziare il suo headquarter) quale “luogo deputato alla morte”. Per farlo indìce due “chiamate alle armi”. Two calls for Vajont. Questo il sito dedicato, da ieri on line.
Il progetto Two calls for Vajont si sviluppa attraverso due differenti strade, ma che viaggiano in parallelo. Entrambe infatti si rivolgono agli artisti su scala internazionale (partenariati attivati, per ora, con Francia, Germania e Inghilterra, che faranno da cassa di risonanza al progetto) e entrambe puntano a raccogliere “idee” innovative (due delle quali vedranno la realizzazione, due invece riceveranno un riconoscimento per il loro valore “concettuale”) che verranno valutate da una giuria di rilievo, composta da curatori, artisti e studiosi di fama internazionale: Marc Augé, Pierluigi Basso Fossali, Maria Centonze, Cristiana Collu, Gianluca D’Incà Levis, Alfredo Jaar, Marcella Morandini, Franziska Nori, Fabrizio Panozzo, Angela Vettese.

A call for a Line interessa direttamente la diga, grande lapide che incombe sulla valle a cavallo tra le due province di Pordenone e Belluno, e sulla visione ristretta di chi non riesce a leggere al di là della storia. L’idea è quella di realizzare un’opera che, se da un lato andrà a segnare il livello nell’invaso che l’acqua raggiunse la notte della nota “tragedia”, il 9 ottobre 1963, dall’altro contribuirà a modificarne l’iconografia e pertanto portare la riflessione verso il distaccamento netto con il passato, pur tuttavia nel rispetto della storia che il luogo porta con sè.

A call for a Wall, invece, interessa la facciata del “campo base” di Dolomiti Contemporanee: il Nuovo Spazio di Casso (risultato della riabilitazione dell’edificio che ospitava la scuola elementare di Casso). Emblema della distruzione ma anche della resistenza (all’onda mortale, alla memoria imperitura), lo spazio ospita al suo interno le mostre temporanee che si susseguono durante tutta la stagione estiva. La sua facciata suggestiva, (profondamente segnata dall’onda d’acqua che si apprestava a scavalcare la diga) sarà il luogo sul quale andrà ad insediarsi l’opera vincitrice, anche in questo caso con una tensione verso l’innovazione, in contrasto con una visione stantia e passatista del luogo.

Nel programma di networking che DC ha attivato sul territorio fin dalla sua nascita, la presenza degli sponsor è non solo d’aiuto ma, in questo caso, funzionale alla realizzazione dell’opera stessa. Neonlauro fornirà infatti la tecnologia luminosa della quale dovrà comporsi (come indicato nella call) l’opera. Enel è invece mainsponsor per quanto riguarda A call for a line.
Deadline della call sarà il 30 ottobre prossimo.

 * dal comunicato stampa di Dolomiti Contemporanee / Two Calls for Vajont.

Immagine: Nuovo Spazio di Casso (photo courtesy of Dolomiti Contemporanee / Giacomo De Donà)

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OPEN STUDIO – oggi Vicenza scopre gli studi d’artista

Scoprire cosa si cela all’interno di uno studio d’artista non è sempre così semplice. Spesso questi sono luoghi suscettibili del “senso dell’ordine” di chi ci crea all’interno, inavvicinabili dai “non addetti ai lavori”, frequentati dai suoi avventori ad orari improbabili, semisconosciuti…

Olivares cut assieme a The Soul in The Mirror (alter ego della blogger Teresa Francesca Giffone) provano a trasmettere la loro curiosità alla città di Vicenza. Abbiamo rivolto a diversi artisti l’invito a partecipare alla “puntata zero” di OPEN STUDIO, e al pubblico vicentino di avventurarsi tra opere d’arte e artisti disposti a far conoscere il proprio lavoro.

OPEN STUDIO zero > OGGI DOMENICA 11 MAGGIO
Dalle ore 16 alle 20 gli spazi sono aperti al pubblico a ingresso libero.
Durante tutto il pomeriggio si susseguiranno alcuni eventi. Questo il programma completo:

SARTORIA LARA COSSÈR – Contrà San Marco 39
Lara Giuriati presenta una capsule collection di abiti studiati su alcune campionature di Mirella Spinella. Enrico Larese Filon curerà la selezione musicale.
Manuel Pablo Pace espone alcuni lavori della sua più recente produzione artistica.

SPAZIO 6 – Contrà San Pietro 6
Lo spazio, sorto nelle stanze dello storico studio fotografico di Attilio Pavin, propone dalle 10.30 alle 16.30 una MARATONA FOTOGRAFICA alla quale ci si può iscrivere in loco.
18.30 Inaugurazione della mostra fotografica GENIUS LOCI di Marco Fogarolo.

DER RUF – Contrà Porta Padova 89
Nello studio dall’atmosfera berlinese Patrizia Peruffo esporrà i suoi taccuini di design, mentre Giusto Pilan presenterà la sua ultima produzione pittorica e di incisioni.
17.30 Mirko Cremasco presenta “VIAGGIO”, performance con voce narrante e istallazione.

INCIPIT – Strada Ponti di Debba 5
Questo splendido open space di retaggio industriale ospita gli studi di Andrea GarzottoBruno LuccaDaniele Monarca e Valentina Rosset.
Per l’occasione il Collettivo Jennifer rosa (esule per un giorno dallo spazio VOLL) presenterà in anteprima la proiezione della videoinstallazione “GEMELLI” (in loop per tutto il corso della giornata).
19.30 “IL CERCHIO E IL LUPO”, spettacolo teatrale di Davide Dal Pra

PER INFO: 348 0435597 / 349 8417314
OPPURE scrivere a petra.cason@gmail.com / tfgiffone84@gmail.com

Da “The Soul in The Mirror”
APPROFONDIMENTI SUGLI SPAZI
APPROFONDIMENTI SUGLI ARTISTI

MAPPA DEGLI SPAZI 

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Vicenza val bene una mostra

Il primo gennaio 2013 cominciavo il nuovo anno scrivendo, su commissione, il concept per una mostra che si sarebbe dovuta (o meglio, potuta) fare nel salone al primo piano della Basilica Palladiana. Il 20 gennaio 2013 infatti chiudeva, dopo tre mesi di apertura, la tanto discussa “strategiacommericialeGoldin”, dall’ammiccante titolo “Raffaello verso Picasso”: la mostra avrebbe dovuto riportare in auge Vicenza, che negli ultimi anni si era lasciata sfuggire diverse occasioni per mettersi in piedi e ricavare dalla cultura un discreto ritorno, non solo d’immagine ma anche economico.
Pareva, al termine di questo evento similculturale, si prospettasse per il Salone della Basilica un gap organizzativo che la lasciava scoperta. Le elezioni per il nuovo sindaco sarebbero state ad aprile: qualcuno aveva pensato ad un evento che potesse cavalcare l’onda del successo (almeno di pubblico) della mostra goldiniana e sfruttare a proprio vantaggio la visibilità data dall’essere in uno spazio sì prestigioso e centrale? No. O meglio, qualcuno forse sì, ma pare non sia stato ascoltato. Il progetto fu vagliato da chi di dovere, piacque, e poi più nulla.
Si preferì fare una mostra su cartoline d’epoca, vista da una manciata di persone, e un’altra sul giro d’Italia…

Il titolo della mostra che avevo ideato era “Bentornato a casa”. Emblematico, certamente: la “casa” sarebbe stata la Basilica, vista nuovamente come spazio vissuto dalla città, e il “bentornato” si sarebbe dovuto dare ad un parterre di giovani artisti vicentini (il range medio si aggirava tra i 25 e i 45 anni) i quali, avendo avuto nel loro percorso artistico più successo, riconoscimenti e soddisfazioni professionali ed economiche all’estero, potessero, per una volta, essere “profeti in patria”, e venir visti per quello che erano (anzi sono) ossia ottimi artisti, omaggiati dai propri concittadini e dalla loro stessa città, in un luogo di prestigio com’è, appunto, la Basilica. Quindi, non più, o non solo, capolavori di maestri indiscussi dell’arte mondiale, ma anche opere di pregio di artisti – in vita – ancora, a noi, semisconosciuti.

Ora siamo al 5 di gennaio del 2014. Ad un anno di distanza, come sono andate le cose? Non c’è stato, come l’avevo pensato, nessun “bentornato a casa”; il sindaco è di nuovo Variati, il suo portavoce, Bulgarini D’Elci, è diventato vicesindaco e assessore alla Crescita con delega a Cultura e Turismo e referente per le attività culturali della nostra amata Basilica, e, a parte il “salone proibito”, non esistono spazi per l’arte che non siano gallerie private (qualcuna storica ha chiuso, nel frattempo, come Yvonne Arte Contemporanea, o altre nuove provano ad insediarsi, come Alessandro Ghiotto Galleria d’arte o Galleria Celeste, seppure molto diverse tra loro) o musei. Fine.

Nel corso del 2013, e prima del cambio di organico all’interno del consiglio comunale, erano state raccolte le firme di giovani esponenti del mondo dell’arte e della cultura vicentina che, attraverso una lettera, chiedevano al sindaco e all’assessorato alla cultura il motivo per cui qui a Vicenza, magari sulla falsariga della più meritocratica Schio, non venisse attuato un piano di bandi ai quali chiunque avrebbe potuto concorrere. Presentando progetti artistico/culturali, attraverso i bandi si sarebbe potuto accedere ai fondi (anche se pochi, ma poi che significa pochi?, che esistono) destinati a queste attività. Più che altro premeva segnalare che era ormai palese il coinvolgimento, nel giro ristretto della cultura visuale vicentina, dei soliti pochi volti noti, creando malumori, malcontenti, soprattutto quando il livello qualitativo del prodotto finale andava ad abbassarsi rasentando terra. Soprannominammo il gruppo di firmatari “Bandi, non banditi” (la virgola si può, in questo caso, mettere e togliere a piacere).
Tuttavia la nostra richiesta era anche in merito a spazi idonei ai quali poter accedere (sempre previo bandi) per esporre degnamente l’arte. Vogliamo tornare a parlare di Schio? A disposizione di chi ne fa debita domanda sono disponibili (e ben forniti di tutto il necessario per esporre): Palazzo Fogazzaro, Palazzo Toaldi Capra, il lanificio Conte e l’attiguo – appena riaperto – Shed. Qui mi fermo, già più che sufficiente come termine di paragone. Per una cittadina di neanche 40 mila abitanti, contro gli oltre 115 mila di Vicenza, un ventaglio di possibilità che fa impallidire la Nostra. Vediamo come sta messa Vicenza, invece: l’ex LAMeC, Laboratorio per l’Arte Moderna e Contemporanea, situato al piano terra della Basilica Palladiana, che per anni ha ospitato discrete esposizioni, inagibile prima perchè bisognoso di restauro, poi destinato a diventare “museo del gioiello”, mai attivato, attualmente chiuso; la Casa Cogollo, detta “del Palladio”, troppo onerosa da mantenere non essendo di proprietà del Comune, ma in affitto. Ha ospitato per anni le piccole ma interessanti mostre sul design, che curava egregiamente Stefania Portinari. Ora lo spazio è chiuso e non è, ovviamente, stato rimpiazzato con altro. AB23, la chiesetta di Ambrogio e Bellino, era dedicato all’arte contemporanea. La struttura subì danni a causa di un guasto alla caldaia che, pare, rese inagibile uno spazio da pochi anni recuperato, e non più riaperto. Risultato: nessuno spazio, adatto ad esporre, disponibile. Le tre realtà citate (vedi questo comunicato sul sito del Comune, datato 2009) facevano parte del progetto “Sistemi di Contemporaneo”. Cosa rimane? La Basilica blindata. Ma finalmente, forse, una svolta!

Illustri. “Undici illustratori under 40 che il mondo ci invidia” cita lo slogan sul manifesto. Che sia la volta buona in cui Vicenza (e il Comune) si rende conto che non esiste solo Goldin?
Ale Giorgini, il curatore, ha poco più di trent’anni e “udite udite” è vicentino. Ha deciso di far esporre, oltre ad alcune sue tavole, lavori significativi di altri dieci artisti. La scelta è ricaduta su illustratori giovani, italiani, che avessero, nel corso delle loro – ancor brevi ma scintillanti – carriere in ascesa ottenuto il maggior numero di riconoscimenti in ambito nazionale ed internazionale: vantano tutti di collaborazioni prestigiose nel mondo della grafica, della comunicazione, dell’advertising e dell’editoria; le loro tavole sono state pubblicate in riviste, magazine, fanzine on e off line ma anche in gallerie e musei di tutto il mondo. E, prerogativa per essere scelti tra i nomi di “Illustri”, questi artisti dovevano essere (ancora) residenti in Italia. Niente fuga di cervelli, dunque: si resta qui, perchè grazie al web, questi artisti sono stati in grado di dar vita alle collaborazioni internazionali di cui sopra (il New Yorker Daily Magazine, Rolling Stone, il Washington Post, The Daily Telegraph…) senza doversi

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La presa ferma

Intro.
Ti ho riconosciuto nell’atrio della fiera, nell’andirivieni di gente ininterrotto che ti circondava. Tu eri al telefono e io ho pronunciato il mio nome senza emettere suono, per non disturbare la conversazione. “Petra”. Letto il labiale, hai chiuso la chiamata e ci siamo presentati come si conviene. Una stretta di mano, due baci sulle guance. Quelle cose che si fanno quando ci si vede per la prima volta, dopo essersi scambiati il giusto numero di messaggi scritti e una telefonata per capire dalla voce di che pasta si è fatti.
Accettando il mio invito venivi a parlare di te al Take Care Corner (“no, di Dolomiti Contemporanee“, mi hai risposto. “Ma io volevo che mi parlassi di te”. “Io Sono Dolomiti Contemporanee.” “Ah, allora va bene”). Ti ho guardato sederti in poltrona e, in un tempo brevissimo (chissà se te ne sei accorto) calamitare attorno a te le persone che gravitavano attorno ai tappeti, alla lampada. Tutti si sono fermati ad ascoltare ciò che ci stavi per dire.
Iniziamo.

Gianluca D’Incà Levis è un fuggitivo. Un architetto fuggito dalla morsa del tecnigrafo.
Nel 2008, mentre l’Unesco stava valutando la possibilità di far rientrare nel patrimonio dell’umanità il complesso naturale dei “Monti Pallidi”, Gianluca usciva dal suo studio di architettura per entrare nel tunnel dell’arrampicata.
Io non ho idea di che significhi “arrampicare”; mi dicono sia un’esperienza totalizzante, mistica, di quelle di cui, una volta provata, non si riesca più a farne a meno. Uno spaccio di endorfina.
In un volo pindarico, guardando dal basso i corpi appesi alla roccia, cerco un’analogia tra questa pratica a me così lontana e il tango che conosco. Vedo in loro, come nella danza, una tensione del corpo che è dettata dalla mente, la quale riferisce ai muscoli che fare attraverso parole silenziose; l’incedere sicuro, un passo alla volta, è scandito da un ritmo fatto dai suoni del respiro. Le spalle rilassate, i polsi morbidi, i nervi tesi, la presa ferma: si seduce la roccia per conoscerla. La corda doppia fa una ronda verticale. Le cortine lassù, anziché esser musicali, sono di nebbia.
Accosto l’immagine della presa nel tango (le mani unite dei due ballerini nell’abbraccio)  a quella nell’arrampicata, quando le falangi stringono la roccia sfidando le leggi di gravità. E trovo in Walter Benjamin la riprova che le coincidenze esistono (se le si vogliono trovare): “La presa ferma, apparentemente brutale, fa parte dell’immagine della salvezza.”

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